Gli scavi sistematici di parte del pianoro disteso alle falde orientali di Colle Mitra, l'imponente centro fortificato dei Peligni,
sono stati condotti dove i microtoponimi di Zeppe, Pantano, Tavuto, lasciano Lungo i numerosi sentieri che partono da Cansano.
Lo scavo è stato avviato da una serie di indagini preliminari su un'area non interessata da ricerche scientifiche precedenti, ma percorsa e depredata da generazioni di ricercatori clandestini, che hanno impoverito il sito di oggetti e di storie. Dalla fine dell'Ottocento ai nostri tempi solo gli interessi scientifici di Antonio De Nino, di Valerio Cianfarani con Ferruccio Barreca, di Frank Van Wonterghem e Ezio Mattiocco hanno reso possibile avviare dal 1992 le ricerche sistematiche della Soprintendenza
In questa parte meridionale dell'ager sulmonese circa duemila anni fa sorgeva uno dei tanti villaggi che caratterizzavano l'assetto sparso degli insediamenti sia in epoca italica sia nel successivo periodo del dominio romano: insieme all'abitato sono stati finora portati alla luce i resti di un grande santuario, di necropoli e di un edificio per attività produttive.La zona destinata alle abitazioni è stata indagata solo parzialmente. Tra le strutture, articolate secondo diversi ambienti, sono state portate alla luce piccole vasche e canalette. Le murature sono in opera incerta e si attestano su un tratto di strada che dirige verso sud. |
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Lungo questo tracciato si estendeva l'area destinata alle sepolture, dove saggi preliminari hanno fornito una desiderata ma insperata chiave di interpretazione della storia e della topografia dei sito: nella zona meridionale dell'area indagata sono emersi reperti che documentano come la necropoli di età romana sia stata quasi completamente intaccata dai lavori agricoli. Nonostante questo, è stata recuperata un'iscrizione funeraria in pietra calcarea, sormontata da una cimasa lavorata a parte, decorata a rilievo su tre lati con motivi naturalistici e floreali, come volute, girali e rosette. Si tratta della dedica a Sesto Paccio Argynno da parte dei cultori di Giove di Ocriticum, databile al I secolo d.C.: Sex(to) Paccio / Argynno / Cultores Iovis / Ocriticani / P(osuerunt).
La scoperta risulta importantissima per la definizione dell'identità dell'abitato e per la individuazione dei culti praticati nel santuario: l'epigrafe infatti avvalora l'ipotesi dell'identificazione dei sito con lo “Jovis Lorene” della Tabula |
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Peutingeriana, considerando che tale toponimo viene conservato negli itinerari più tardi, segno evidente di una persistenza dei resti dell'insediamento che continuava a essere ricordato con il nome della divinità più importante qui un tempo venerata.
Il testo conserva infatti le testimonianze della presenza dei cultores Jovis presso il santuario e dei toponimo antico di Ocriticum, identificabile con una comunità di tipo vicano, che legava il proprio nome alla vicinanza dell'ocre su Colle Mitra.
In questo sito, che nel I secolo dopo Cristo si chiamava Ocriticum, i cultori di Giove che prestavano il loro servizio nel santuario per onorare la somma divinità, dedicarono probabilmente a uno di loro,defunto, il cippo tornato alla luce dopo duemila anni; la memoria di Sesto Paccio Argynno aleggia sul pianoro, oggi come ieri.
La sua famiglia era presente nella zona fin dall'epoca italica: altre iscrizioni ne ricordano il nome nell'area peligna, ma le attestazioni dei gentilizio valicano i ristretti ambiti territoriali per documentare come i Paccii fossero diffusi tra i Marsi e come in Amiternum tra i Sabini fossero ricchi proprietari di greggi; tra i Sanniti gli appartenenti alla stessa famiglia ricoprivano cariche magistratuali soprattutto di ambito religioso. A Larino, sempre nel I secolo dopo Cristo, è documentato il cognomen Argynnus. Attraverso questo pianoro, i contatti con il Sannio appaiono d'un tratto più stretti per chi non aveva timore della montagna per comunicare e per condividere esperienze.
La ricchezza degli abitanti dei pianoro è testimoniata da un mausoleo di un considerevole impegno monumentale: i blocchi litici di notevoli dimensioni conservano i fori delle grappe plumbee formano la fondazione su cui si alzavano murature in opera reticolata. I resti della struttura quadrangolare, emersi nel saggio effettuato alle pendici della collina orientale, sono posti lungo un tracciato stradale diretto a est, realizzato con una massicciata di pietrame ricoperta da pietrisco battuto misto a malta (via glareata): la sede stradale è delimitata lateralmente da muretti di pietre a secco e conserva le tracce scavate dalle ruote dei carri.
A Cansano il pianoro conserva la sua magia, accresciuta da una conoscenza che a ogni scoperta rincorre nuovi limiti. In questo paesaggio affascinante si avverte la presenza di altre dimensioni oltre quelle visibili: mentre lo spazio riassume realtà tangibili, quarta dimensione, il tempo, compenetra visibile e invisibile, terra e aria, ragione e intuito. Passato e presente tornano a essere a un attimo di distanza: lo scavo archeologico riapre finestre socchiuse, e ciò che si cerca, ciò che si trova è il tempo.
“C'è chi vive nel tempo che gli è toccato ignorando che il tempo è reversibile come un nastro di macchina da scrivere. Chi scava nel passato può comprendere che passato e futuro distano appena di un milionesimo di attimo tra loro.
(E. MONTALE, A Pio Rajna, in Quaderno di quattro anni, 1974) |
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