Una storia di Emigrazione
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Dalla bacheca dei miei ricordi una storia di emigrazione, di sacrifici, di separazione. Una storia che racchiude in se` il coraggio e l`abnegazione di un uomo che sacrifico` totalmente la sua vita per il benessere dei suoi figli. Storia non unica, che, purtroppo, negli anni pre-seconda guerra mondiale si ripeteva tragicamente troppo spesso. Era l`Agosto del 1956, io e mio cugino Germano tornevamo in Italia con il transatlantico Giulio Cesare. Lungo la traversata oceanica di otto giorni conoscemmo un signore sulla sessantina ed un giovane diciottenne. La storia del giovane, molto interessante, con un risvolto sorprendente, mi riprometto di raccontarla in un prossimo futuro. La storia dell`anziano signore, che purtroppo non ricordo il nome, raccontataci da lui stesso, e` questa qui`. Si era in un paesino calabrese, anno 1918, Lui giovanissimo sposo` la ragazza dei suoi sogni. L`anno dopo nacque il primo figlio. La paga da barbiere che lui percepiva cominciava ad essere un po` stretta, le spese superavano l`entrate. Lo stato interessante della moglie che aspettava un secondo bambino esacerbo`ancora di piu` la situazione economica della famiglia. Fu cosi` che di comune accordo con la moglie decisero che lui emigrasse in America. C`era in un paesino minerario della Pennsylvania un suo vecchio amico che gestiva una barberia e che sarebbe stato felice di farlo lavorare con lui. Fu cosi` che col cuore infranto lascio` la moglie incinta, il bambino e la casa per rincorrere il sogno Americano. La sua speranza era di guadagnare tanti soldi in poco tempo e ritornare nel suo paese con la sua famiglia. Purtroppo, come e` sempre successo, le cose non andarono proprio cosi`. Arrivato in Pennsylvania si reco` dall`amico. La barberia era al primo piano di un vecchio palazzo, al secondo piano c`era una stanza libera che lui affitto`. Fu quell`unica camera la sua dimora per piu` di 36 anni. Comincio` subito a lavorare tanto che alla fine del primo mese ebbe la possibilita` di mandare il primo assegno alla moglie in Italia. Alcuni anni se ne andarono, la sua vita sempre monotona, la sua speranza di ritornare in Italia sempre piu` remota, penso` di portare la famiglia qui` in America. Ma i suoi figli, ormai grandicelli, che studiavano ragioneria e geometria non se la sentirono di abbandonare gli studi e la moglie per non abbandonare i figli rimase anche lei in Italia. Passarono altri anni, arrivo` la guerra, la comunicazione epistolare con la moglie divento` difficile, non ricevette sue lettere per interi mesi. Anche in questo difficile frangente lui continuo` sempre ad aiutare la sua famiglia. La guerra` finalmente fini`, tanti anni se n`erano andati. Ai sacrifici di lavoro si aggiunsero acciacchi di salute. Fu cosi` che nel 1956 decise di vendere tutte quelle poche cose che aveva e ritorarsene in Italia. Scrisse alla moglie per notificarla di questa sua decisione. La moglie gli rispose che era felice che lui dopo tanti anni ritornava nella sua casa. Ma per un motivo, forse di distrazione, omise del tutto l`opinione dei figli al riguardo. Questo non passo` inosservato al marito, che la prese come un rifiuto dei figli al suo ritorno. Per lui questo divenne un`ossesione. Durante la traversata ragionava spesso con noi di questo fatto. e quasi per convingersi che i figli avevano ragione, adduceva a questo fantomatico rifiuto il fatto che lui non era stato presente con loro nei momenti piu` significativi della loro vita. Naturalmente questa sua tesi non era condivisa da noi, perche` sapendo di tutti i sacrifici che lui aveva fatto per dare a loro un`educazione eccellente non potevamo pensare che i figli gli si sarebbero messo contro. Cerchevamo continuamente di rassicurarlo che senza i suoi sacrifici i suoi figli non sarebbero diventati le persone responsabili che erano. Il giorno dello sbarco lui era piu` teso che mai, tanti dubbi gli passavano per la testa, mi confido` che forse aveva sbagliato tutto nella vita. Ci prego` di non abbandonarlo nel porto di Napoli, di almeno aiutarlo a trovare un mezzo che l`avrebbe riportato in Calabria. Con questo suo stato d`animo ci recammo nel ponte principale della nave per cercare di individuare i parenti che erano venuti a prenderci. Non fu molto difficile per noi riconoscere in mezzo alla folla i nostri cari. Fu invece molto difficile per il nostro amico riconoscere, se fossero presenti, i suoi figli perche non ne conosceva minimamente le loro sembianze. Per risolvere questa delicata situazione decidemmo di gridare i loro nomi, se c`erano avrebbero sentito e sicuramente risposto. Fu in questo momento che si completo` il miracolo. In mezzo alla moltitudine di gente un gruppo di persone cominciarono ad agitare le mani. Erano i suoi famigliari. C`erano tutti, dalla moglie ai figli, dalle nuore ai nipoti. Ci voltammo verso il vecchio amico. Tutti i dubbi, tutte le tensioni si erano sciolte, tutti sacrifici, tutti gli anni passati nella stanza tenebrosa della Pennsylvania erano diventati brutti ricordi. Dal suo volto provato da anni di lavoro e sacrifici brillavano un fiume di lacrime. La sua triste odissea era finita. Nei tanti anni ormai passati molte volte mi sono trovato a pensare al vecchio barbiere, e mi sono sempre augurato che almeno gli ultimi anni della sua vita siano stati sereni.