“LA VERITA’ non teme la menzogna”.

di

Nunzio Marco Dr. D'Orazio

Cari amici di “Cansano nel mondo”, dal momento che non tutti mi conoscete, innanzitutto mi presento: sono il Dott. Nunzio Marco D’Orazio, figlio di Tullio D’Orazio e di Onesta Di Gregorio. Avevo deciso di pubblicare questa mia annosa ricerca sul trimestrale di informazione locale di Cansano “L’eco della valle”, ma poiché, con sommo rammarico, ho appreso dalla Redazione che l’edizione cartacea è stata sospesa per mancanza di fondi, mi vedo costretto a ricorrere a questo sito. La ricerca da me condotta mira a confutare alcune affermazioni contenute proprio in due articoli dal titolo “ARA PATRIAE” pubblicati nel summenzionato trimestrale (al n. 2 del giugno 2012 ( Leggi l'articolo) e al n. 3 del settembre 2012 (Leggi l'articolo), a firma della Sig.ra Maria Donata Di Gregorio, nei quali l’autrice ha screditato e infangato i nomi del primo Sindaco di Cansano e degli Amministratori del primo ventennio del Comune.


In tali articoli, il mio nonno materno, SALVATORE DI GREGORIO di Aureliano e di Di Paolo Onesta, nato il 22/07/1871, eletto in data 08/02/1908 con votazione unanime e plebiscitaria primo sindaco dell’appena costituito Comune di Cansano ed eletto più volte Consigliere Comunale ed Assessore in varie Amministrazioni, viene identificato dall’autrice come “indegno di appartenere all’Amministrazione Comunale. Tale identificazione è stata fatta sulla base di accuse formulate in una lettera aperta, indirizzata all’allora Sindaco di Cansano, firmata dal Sig. FELICE DI CAMILLO e da altri due cansanesi emigrati in America, pubblicata in data 30/10/23 dal giornale Marsica Nuova.
Questi Signori hanno anche dichiarato che in Cansano c’erano dei “maneggieri locali” e che in alcune circostanze il denaro era finito nelle mani sbagliate; citano così “il caso della Cooperativa, il restauro della Chiesa di San Nicola, la liquidazione della Società Operaia di Mutuo Soccorso, il grande imbroglio dell’affaraccio Modugno e l’altro famoso trucco fatto dal nomato Kaiser sui terreni della Chiesa”.
Quindi Maria Donata Di Gregorio, oltre ad identificare l’indegno nella figura di SALVATORE DI GREGORIO, riporta nel suo articolo che era stato “addirittura decaduto per gravi motivi dal Consiglio Comunale” e di seguito che lo stesso era un “delinquente” e “degno capo della famigerata sezione fascista”.
L’autrice basa dunque le sue affermazioni sui contenuti della lettera scritta dai tre Cansanesi emigrati in America e non si preoccupa di verificare con accuratezza nomi, date e fatti, come dovrebbe fare chi intende raccontare circostanze non vissute personalmente.
Io ho effettuato una ricerca puntigliosa e completa sull’attività amministrativa, sociale, politica e personale di SALVATORE DI GREGORIO e sulle determinazioni delle Amministrazioni Comunali di Cansano che si sono succedute nell’epoca (1908-1926) alla quale si riferisce la lettera e posso affermare che tutte le accuse mosse da FELICE DI CAMILLO e dagli Altri e tutte le deduzioni di Maria Donata Di Gregorio sono errate, mendaci e miranti a screditare illegittimamente la figura del primo Sindaco di Cansano e degli altri Amministratori Comunali.
Iniziamo dall’appellativo di “indegno di appartenere all’Amministrazione Comunale dalla quale sarebbe stato dichiarato decaduto per gravi motivi”, affibbiato a SALVATORE DI GREGORIO dai tre detrattori.
SALVATORE DI GREGORIO, a seguito della scissione del villaggio-frazione di Cansano dal Comune di Campo di Giove e delle libere elezioni del 02/02/1908, in data 08/02/1908 veniva eletto primo sindaco del paese con votazione unanime e in data 17/07/1910 –come si rileva negli annali dei Consigli Comunali- ricopriva il ruolo di assessore.
La motivazione della variazione della carica, al contrario di quanto si potrebbe supporrre, non è stata però l’esito della Causa Penale n. 222/1909, con la condanna a mesi 1 e mezzo di reclusione e con la sospensione del diritto elettorale e politico per un anno, per la sentenza emessa dal Tribunale di Sulmona a carico dei membri del seggio elettorale di Cansano nelle elezioni politiche del 07/03/1909, e cioè DI GREGORIO SALVATORE, DE SANTIS DOMENICANTONIO e DI GREGORIO GIOSUE’, per aver impedito di votare a tale Tarulli Marco Antonio e ad altri cittadini nel seggio provvisorio, mentre essi ne avevano diritto. L’azione di impedimento da parte dei membri del seggio era stata causata dal fatto che nell’anagrafe comunale il suddetto Tarulli era registrato come Tarulli Marco Antonio mentre nel seggio si era firmato Tarulli Antonio, per cui a loro giudizio emergeva una differenza d’identità, e che i cittadini presenti nel seggio provvisorio avrebbero dovuto votare di lì a poco nel seggio definitivo. Il Tribunale invece riteneva che “i membri del seggio dovevano sapere che nel caso del Tarulli trattavasi della stessa persona” e che “i cittadini presenti nel seggio provvisorio avevano diritto a votare subito” e pertanto li condannava.
A questa sentenza i suddetti si opponevano promuovendo il ricorso al Procuratore del Re, per cui la stessa veniva sospesa ed infatti troviamo che SALVATORE DI GREGORIO in data 27/07/1909 manteneva il ruolo di Sindaco (in tale data veniva infatti encomiato dal Consiglio Comunale per aver collaborato con i Forestali nella cattura di un latitante), mentre in data 17/07/10 ricopriva il ruolo di Assessore componente della Giunta Comunale.
Il Procuratore del Re successivamente con decreto del 29/09/1910 riconosceva formalmente corretto l’impedimento posto dai membri del seggio elettorale e condonava le condanne dei predetti.
Quindi, se il motivo della variazione della carica fosse stato la condanna in questa causa, dopo il decreto del Procuratore del Re il sindaco avrebbe continuato a mantenere lo statu quo ante.
L’avvicendamento con il nuovo sindaco si era reso invece necessario perché nel 1909 SALVATORE DI GREGORIO era divenuto ESATTORE COMUNALE di Cansano, per cui era ovviamente divenuto incompatibile con la carica di sindaco.
Dal 1910 al 1922 SALVATORE DI GREGORIO continuava a ricoprire così il ruolo di Consigliere o di Assessore e sempre di revisore dei conti nelle varie Amministrazioni Comunali. Occorre fare ora una semplice considerazione. Se la presunta decadenza per indegnità fosse stata causata da quella condanna in primo grado, vari sindaci succedutigli in Cansano, anche in epoca recente, sarebbero da ritenere indegni e meritevoli di decadenza per essere stati condannati in primo grado.
In data 24/08/1922 SALVATORE DI GREGORIO veniva eletto per l’ennesima volta consigliere comunale nell’Amministrazione retta dal Sig. Lorenzo Colecchia e in data 15/10/1922 veniva eletto per l’ennesima volta revisore dei conti. Badate bene che i conti venivano controllati semestralmente dal Prefetto di L’Aquila o dal Sottoprefetto di Sulmona e mai erano stati osservati dall’Autorità. Questi sono i dati storici.
In data 19/11/1922, dopo votazione a scrutinio segreto, il Sindaco lo dichiarava ineleggibile. Il vero motivo di questo fatto, a mio giudizio, era la stessa incompatibilità, in quanto era risultato dal 1909 aggiudicatario dell’asta pubblica per l’Esattoria e Tesoreria del Comune, che veniva effettuata ogni anno, ed ancora dal 1911 dell’Esattoria e Tesoreria del Consorzio Intercomunale Cansano-Campo di Giove, che veniva effettuata ogni tre anni. Non venivano infatti manifestati durante il consiglio comunale altri motivi di ineleggibilità.
Da segnalare è il fatto che non era stato ritenuto incandidabile, bensì ineleggibile.
La titolarità dell’Esattoria è quindi il vero motivo per cui dal 1910 non ha potuto più rivestire la carica di Sindaco (pur essendo stato sempre tra i candidati più votati dai cittadini) e dal 1922 la carica di Consigliere.
La titolarità dell’Esattoria Intercomunale veniva peraltro mantenuta da SALVATORE DI GREGORIO fino alla sua morte, avvenuta in data 28/02/1932.
Tornando ai fatti ho rilevato che nella seduta del Consiglio Comunale del 24/08/1922 erano stati già dichiarati come ineleggibili per varie incompatibilità e varie motivazioni, oltre a SALVATORE DI GREGORIO anche altri consiglieri eletti: De Pulcinis Concezio, De Angelis Enrico, De Santis Salvatore fu Carmine, Villani Pasquale Antonio fu Domenico e Pulcinis Ferdinando di Gregorio. Per tali motivi quella Amministrazione ebbe vita molto breve.
Questi sono i dati reperibili dagli annali del Tribunale di Sulmona e del Comune di Cansano.
Quindi ribadisco che la causa della decadenza da sindaco e poi da consigliere non è stata la sentenza di condanna del Tribunale di Sulmona seguita dal condono da parte del Procuratore del Re, ma l’INCOMPATIBILITÀ per essere TITOLARE dell’Esattoria e Tesoreria dapprima Comunale di Cansano e di seguito Intercomunale di Cansano-Campo di Giove.
Non si tratta pertanto di INDEGNITÀ.
Questa è la verità storica corroborata da nomi, date e fatti.
Prima di bollare come indegno SALVATORE DI GREGORIO l’autrice degli articoli avrebbe dovuto con onestà intellettuale trovare valida conferma alle accuse che avevano mosso gli Americani e che lei ha fatto proprie e pubblicate; accuse mosse ad una persona deceduta 82 anni fa che pertanto non ha più facoltà di difendersi.
Per pura informazione del lettore segnalo che dopo la data del 19/11/1922 terminava l’attività amministrativa nel Comune di Cansano svolta da SALVATORE DI GREGORIO dal 1908.
Egli continuava però a servire le Amministrazioni Comunali che si succedevano ed era sempre pronto a rispondere in prima persona ai loro bisogni: vedi la delimitazione dei confini con Campo di Giove e Pescocostanzo del 21/06/1924; vedi la stima urgente del bosco uso commercio di Colle Ciavarelli del 29/01/1925, richiesto dal Comune alla Milizia Forestale e non effettuato ad oltre un anno dalla richiesta, urgenza dettata dalla necessità dell’Amministrazione di pagare il lavoro della Cooperativa per la sistemazione delle strade interne; vedi la nomina nella Commissione Edilizia per l’applicazione del regolamento edilizio del 26/02/1927; vedi i vari incarichi, tutti documentati da atti delle Amministrazioni Comunali, per seguire le cause penali, civili ed amministrative del Comune di Cansano.
Il motivo dell’affidamento di tali incarichi a SALVATORE DI GREGORIO era che purtroppo nessuno a quell’epoca era in grado di ottemperare a tutte queste incombenze.
L’autrice degli articoli ha riconosciuto comunque che vi doveva essere stato un motivo del dissidio tra uno degli autori della lettera, FELICE DI CAMILLO, e SALVATORE DI GREGORIO. Purtroppo ella, conoscendo bene uno dei motivi, ha taciuto ed ha pensato di non dover indagare ulteriormente. Se lo avesse fatto avrebbe avuto conferma sia dei motivi, più di uno, che della falsità delle accuse.
La mia certezza, corroborata dai ricordi di persone ancora viventi (ricordi di Di Gregorio Solina, Di Gregorio Pasqua, Di Pasqua Domenica e Ruscitti Nunzio) e dal diario di mio zio FIORENTINO DI GREGORIO, figlio di Salvatore, è che l’odio nutrito dal DI CAMILLO verso SALVATORE DI GREGORIO era precedente al 1923, epoca della lettera, ed era originato da interessi personali intimi ed inconfessabili. L’odio era stato poi rinfocolato dal fatto che lo stesso FIORENTINO DI GREGORIO aveva amoreggiato per un certo tempo con Dea, una bellissima figlia del DI CAMILLO, e poi l’aveva lasciata -cosa per quei tempi molto disdicevole-.
Il rancore per l’ulteriore ferita aveva indotto il DI CAMILLO a imbastire accuse menzognere e infamanti.
In Cansano purtroppo, allora come ora, si usa fare così: si sparge sommessamente una voce calunniosa e menzognera lasciando che pian piano essa si gonfi di altri contenuti e si diffonda al massimo, oppure si scrive una lettera anonima con accuse di vario genere per lo più infondate, o ancora, con l’avvento dell’informatica si pubblicano su vari siti delle corbellerie, sempre infondate ma ovviamente firmate con uno pseudonimo.
Tornando al tema ritengo poi che un altro motivo del dissidio tra gli autori della lettera predetta e mio nonno, dissidio che solo superficialmente poteva sembrare di carattere politico, vada invece individuato nel fatto che mio nonno era un uomo molto intelligente e fisicamente prestante, congiunzione di doti rara in quell’epoca -basti pensare che era stato lui l’artefice della separazione del villaggio-frazione di Cansano dal Comune di Campo di Giove nel 1908- per cui suscitava la gelosia e l’invidia sia degli uomini che delle donne (ricordi di Ruscitti Nunzio).
Per questi motivi spesso la contrapposizione con altri uomini era solo all’apparenza politica, ideologica od economica, ma era causata in realtà da interessi strettamente personali.
Perciò l’autrice degli articoli non avrebbe dovuto ritenere valide le accuse di “un innamorato deluso” o di “una persona offesa nell’onore”, ma avrebbe dovuto indagare e cercare le prove di quelle affermazioni prima di pubblicarle.
Concludo questa parte affermando che da questa mia ricerca durata oltre due anni è emerso che: il foglio matricolare di SALVATORE DI GREGORIO di Aureliano non porta alcuna annotazione; non esiste alcun fascicolo di informativa o di indagine negli archivi delle Forze dell’Ordine; tutte le volte che è stato citato in giudizio presso il Tribunale di Sulmona o presso le Preture Circondariali con accuse di vario genere rivolte da Cansanesi e da forestieri, SALVATORE DI GREGORIO dopo i vari gradi di giudizio non ha riportato alcuna condanna passata in giudicato.
Emblematica è la Causa Penale n. 62 del 12/02/1932 svoltasi nel Tribunale di Sulmona che vedeva SALVATORE DI GREGORIO accusato addirittura di aver spacciato una moneta da lire 20 falsa. Nel corso del dibattimento e sotto giuramento, il signore che aveva consegnato a mio nonno le 35 lire da portare a sua madre in Cansano testimoniò che non ricordava il taglio delle monete che aveva ricevute dal gestore del ristoro nella stazione di Palena e che le aveva consegnate a mio nonno senza controllarle. Peraltro emerse che in provincia di Chieti, dove lavorava quel signore, circolavano da tempo varie monete false. Per questo motivo SALVATORE DI GREGORIO venne assolto.
Nello stesso processo venne assolto dall’accusa di aver preteso il pagamento di una cambiale di lire 600, accettata a seguito di un prestito che aveva fatto ad un suo cugino poi deceduto, cambiale che la vedova rifiutò di onorare e denunciò come falsa. I testimoni oculari del prestito e dell’emissione della cambiale scagionarono pienamente mio nonno.
Sempre in quel processo fu assolto dall’accusa di aver preteso degli aggi esattoriali da alcuni cittadini, i quali ritenevano di non doverli versare.
In un solo processo, svoltosi dopo vari anni dall’epoca della lettera citata, è rimasto condannato, quello per il furto avvenuto nella notte tra il 2 e il 3 agosto 1930 di un sacco di crusca, di due pezzi di lardo e di un prosciutto (per inciso venne acclarato che la crusca era di proprietà del suocero di sua figlia Maria Stella Di Gregorio mentre il lardo e il prosciutto erano addirittura di sua proprietà, cioè di SALVATORE DI GREGORIO), perché accusato ingiustamente dalla solita lettera anonima pervenuta ai Carabinieri, ed è stato l’ultimo processo a suo carico in quanto egli è deceduto il 28/02/1932 a soli 3 mesi dalla sentenza del 27/11/1931. Per questo motivo non ha potuto coltivare l’opposizione nell’appello che aveva promosso alla sentenza che lo riteneva colpevole.
La sentenza di condanna era invero carente di motivazioni, in quanto i giudicanti non avevano dato alcun peso al fatto che la refurtiva era di proprietà dell’accusato -il quale poteva disporne liberamente e non aveva alcun motivo per trafugarla- e in quanto si erano basati solo sulle accuse, solo iniziali e palesemente mendaci, divulgate da una sola teste, madre della ricettatrice (o coautrice del furto), la quale, volendo coprire le responsabilità della figlia, accusò del furto SALVATORE DI GREGORIO, il quale purtroppo era da alcuni anni l’amante della stessa. Nel corso dell’istruttoria e del dibattimento e sotto giuramento quella donna ritrattò l’accusa, ma i giudicanti non vollero tenerne più conto. La sentenza era anche curiosamente assurda in quanto assolveva il vero autore del furto, che era stato già condannato per furto varie volte, che era stato identificato ed accusato reiteratamente dalla stessa ricettatrice della refurtiva (o coautrice del furto) sia in fase istruttoria che in fase dibattimentale sotto giuramento e che era stato anche arrestato, ma poi scarcerato perché scagionato dalla testimonianza di un suo parente, persona che ovviamente era interessata. Purtroppo i giudicanti ritennero la testimonianza veritiera e concessero al reo un’assoluzione certo non meritata. Infatti in casa della ricettatrice erano stati rinvenuti sotto un letto solo il sacco di crusca e i due pezzi di lardo, e nel corso dell’istruttoria e del dibattimento nessuno aveva più pensato al prosciutto, che non era stato trovato dalle Forze dell’Ordine e che ovviamente era stato trattenuto e nascosto dal vero autore del furto. Cfr. Sentenza del Tribunale di Sulmona n. 230 datata 27/11/1931.
L’appello a questa sentenza, come ho detto sopra, prodotto subito da mio nonno non poté essere proseguito perché a soli tre mesi dall’esito della causa, in data 28/02/32, decedeva improvvisamente.
Non v’è chi non veda che, alla luce dei fatti e delle testimonianze citate, nei successivi gradi di giudizio tale sentenza sarebbe stata certamente riformata, come lo fu anche per la ricettatrice (o coautrice del furto), che fu scarcerata dopo circa un anno.
Durante quel processo venne purtroppo a conoscenza di tutti l’unica vera macchia che aveva lordato la reputazione di mio nonno e cioè la riprovevole e illecita passione per una donna, divenuta la sua amante o, come si diceva all’epoca, “la mantenuta del Kaiser”. Lei era stata lasciata dal marito, era stata già “amata” da altri ed aveva una “dubbia reputazione”, stante il fatto che era stata giudicata (vedi causa penale del 1908) per minaccia a mano armata con sentenza passata in giudicato e condannata al carcere.
Si potrebbe ora pensare che anche questa macchia poteva essere stata uno dei motivi -pur pretestuoso- di ineleggibilità a sindaco e a consigliere. Non è assolutamente vero perché tutti sanno che a quei tempi anche i re, i dittatori, gli uomini politici, gli artisti osannati e molti individui non famosi avevano una o più amanti e che anche nel nostro “paesello” c’erano vari “casi di questo genere” ed infatti erano nati diversi figli di padre ignoto (vedi registri delle nascite) ed erano stati scoperti tre infanticidi “tra i vari commessi”.
COOPERATIVA DI LAVORO
Voglio parlarvi ora della Cooperativa, che i tre Americani fanno rientrare nelle “circostanze in cui il denaro era finito nelle mani sbagliate”.
Voglio difendere così altri morti di Cansano, infangati nella predetta lettera e dall’autrice degli articoli che ne ha pubblicato il contenuto.
La “Società Cooperativa di Lavoro per braccianti ed affini” era stata costituita in Cansano in epoca anteriore al 1920 per poter ottenere lavori per i braccianti in questo ed in altri comuni.
In data 28/06/1922 la Cooperativa risultava costituita da: Presidente Sig. Ruscitti Ermenegildo; Soci : De Santis Salvatore fu Carmine, Villani Pasquale Antonio fu Domenico, D’Orazio Antonio e De Angelis Enrico. In quella data (28/06/1922) la Cooperativa era stata aggiudicatrice dell’asta a candela vergine dei lavori di sistemazione delle strade interne del Comune di Cansano, non per intrallazzi politici o di altra natura, bensì perché l’iniziale aggiudicatore “non aveva presentato l’offerta del ventesimo di ribasso del prezzo di provvisoria aggiudicazione”. Cfr. Delibera del Comune del 28/06/22.
I lavori venivano diretti dall’Ingegnere Achille Iuvenardi di L’Aquila, nominato in data 15/10/22 tecnico del Comune ad hoc.
I lavori purtroppo non sono stati eseguiti in modo continuativo, per la mancata copertura con pagamento sollecito delle anticipazioni di denaro fatte dalla Cooperativa, dal momento che l’Amministrazione non riuscì ad ottenere il prestito di oltre 300.000 lire richiesto alla Cassa Depositi e Prestiti, e per delle variazioni in corso d’opera a causa dell’esaurimento delle cave di pietra da selci e del mancato reperimento di tali pietre nel nostro territorio ed in quelli viciniori. Per questo motivo erano addirittura necessarie e venivano attuate delle variazioni del progetto con modificazione della struttura in selci, cioè con il posizionamento di file di mattoni e di forme di cemento (vedi delibere: del Commissario Prefettizio del 26/05/22 –delibera dell’assunzione del mutuo e di 35 annualità-, del Consiglio Comunale del 15/10/22 –delibera dell’assunzione del mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti e del pagamento delle annualità di prestito con sovraimposta comunale equamente ripartita-, del Consiglio Comunale del 14/05/25 –delibera con diffida alla Cooperativa di terminare il lavoro entro il 30/06/25, senza nulla eccepire circa il pagamento degli acconti e degli interessi sulle anticipazioni-, del Consiglio Comunale del 22/07/25 – delibera di sostituzione dei selci con pavimentazione a cemento-, del Consiglio Comunale del 19/11/25 –delibera di composizione bonaria della vertenza aperta dalla Cooperativa che non riceveva i pagamenti per cui il comune si obbligava a corrispondere il 5% di interesse sulle anticipazioni-, del Podestà del 15/06/26 –incarico all’ingegnere di variare la tipologia di pavimentazione per mancanza di pietre da selci-).
Purtroppo il Comune, non avendo ottenuto il prestito dalla Cassa Depositi e Prestiti, dovette ricorrere ad una sottoscrizione da parte dei cittadini più abbienti con un prestito d’onore per far fronte, dopo vario tempo -oltre tre anni- e solo parzialmente, agli impegni presi con la Cooperativa.
I cittadini che si fecero carico di concedere al Comune un mutuo cambiario con il 5% di interesse furono: Ruscitti Nunzio fu Leopardo, Di Giallonardo Giovanni, Di Paolo Germano Nunzio, Di Domenico Nicola (errato perché si trattava di Ruscitti Ermenegildo, come accertato all’atto del rimborso deliberato il 16/05/1931) e Guadagnoli Nicandro, giusta delibera del 02/07/1927, che richiamava quelle del 31/08/1924 e del 14/04/1925. Ma solo nel giugno 1931, vedi delibera del 15/06/1931, dopo una vertenza aperta dalla Cooperativa per ottenere il saldo del lavoro fatto e delle anticipazioni esborsate, a seguito della perizia di un tecnico del Genio Civile che aveva valutato il valore dell’opera effettuata, l’Amministrazione deliberava la liquidazione di un importo netto di lire 124.272,35 e la rescissione del contratto, in quanto il Comune non poteva garantire la prosecuzione e la conclusione dei lavori dal momento che non era stato possibile in alcun modo ottenere il mutuo dalla Cassa Depositi e Prestiti e la vendita del bosco uso commercio dei “Colli Ciavarelli” non copriva l’intero importo dei lavori.
Quindi il denaro non finì nelle mani sbagliate, anzi il Comune non pagò il dovuto a questi braccianti né tempestivamente e neppure interamente.
(La Cooperativa lavorò anche nella riparazione della strada Roccaraso-Pietransieri per aver vinto anche quell’asta. Non riuscì invece in data 14/04/1923 ad aggiudicarsi l’asta pubblica per la realizzazione del 2° tronco della Strada Prov.le n. 16 tra Cansano e Campo di Giove perché l’impresa Tucceri e Co. risultò possedere macchinari più idonei e si aggiudicò l’asta.)
Questi sono i dati storici e i documenti ancora esistenti evidenziano i fatti realmente accaduti. L’autrice invece ha pubblicato le accuse contenute nella lettera predetta, che derivano molto verosimilmente da chiacchiere di comari o da voci del popolino (come si dice ancora a Cansano “ditt p’ reditt”) o da menzogne architettate ad arte, che gettavano fango anche sull’operato dei braccianti della Cooperativa di Cansano, i quali sudavano nel loro lavoro quotidiano tanto quanto sudavano i minatori americani, ma con compensi certamente inferiori e molto più aleatori, visto che il lavoro e le anticipazioni esborsate dalla Cooperativa negli anni 1922-1923-1924-1925 sono stati liquidati dall’Amministrazione Comunale solo parzialmente e con notevole ritardo, in parte dopo il prestito d’onore dei suddetti cittadini abbienti del 1927 ed in parte dopo la vertenza del 1931.
CHIESA DI SAN NICOLA
Qualcuno ipotizza tuttora, anzi insinua, che la Cooperativa fosse stata impegnata anche nei lavori di restauro della Chiesa di San Nicola, ma tale ipotesi si è rivelata totalmente errata.
Dalla sentenza del Collegio Giudicante del Tribunale di Sulmona nella Causa Penale n. 250 dell’anno 1909 Reg. Gen. 1152 si evince che la Commissione di cittadini di Cansano incaricata di raccogliere i fondi per la ristrutturazione di tale Chiesa era formata da: Pulcini Concezio, Di Gesualdo Salvatore, Colalancia Giuseppe, Di Gregorio Nunziato e Ruscitti Giuseppe.
Essi avevano appaltato legalmente nel 1903 i lavori delle opere murarie della Chiesa, di concerto con il parroco Don Osvaldo Coletti, all’Impresa Pantaleo Francesco di Sulmona per un importo convenuto di lire 4.589,00. Tale importo era stato calcolato dal perito agronomo Quattrocchi Giuseppe di Sulmona. L’impresario aveva come soci il Sig. Pantaleo Loreto ed il Sig. Settevendemie D’Antino Michele.
Ultimati i lavori, che erano stati pagati secondo lo stato di avanzamento e per i quali pagamenti l’Impresa aveva rilasciato debite ricevute (solo per lire 100,70 non aveva rilasciato la ricevuta, in quanto il denaro, anticipato dalla Commissione, era servito per pagare il ritiro del materiale –mattoni ed altro- alla stazione di Cansano), la Commissione venne denunciata per mendacio dall’Impresa, che sosteneva di aver ricevuto solo lire 4089,00. Il Collegio Giudicante rilevò invece che le ricevute -nove quietanze- prodotte dalla Commissione e dal Parroco ammontavano a lire 4.489,00 e tenne conto anche delle lire 100,70 anticipate dalla Commissione per il ritiro dei materiali, dopo aver richiesto ed ottenuto dall’Impresa la produzione in giudizio della ricevuta rilasciata dalle Ferrovie. Per tali motivi la Commissione fu assolta con formula piena dal reato di mendacio.
Questi sono i fatti. Non c’è stata una sola lira che sia finita nelle mani sbagliate. Anzi, come è emerso in sede di dibattimento della predetta Causa Penale, le ultime lire 500 furono raccolte dalla Commissione proprio nell’ultimo giorno utile per il pagamento dell’Impresa edile con una colletta tra i cittadini di Cansano e di Campo di Giove.
Per il restauro della Chiesa di San Nicola infine non si reperta alcun atto e non si reperta alcun pagamento fatto dall’Amministrazione Comunale (di allora) di Campo di Giove o dalla Curia Vescovile.
Questi sono i dati reali, ma i firmatari americani della famosa lettera li hanno artatamente misconosciuti, o forse, essendo emigrati da vari anni, non li conoscevano perché le notizie fatte pervenire a loro da Cansano erano come al solito menzognere.
La Commissione pertanto non era formata da “maneggieri”, ma da persone rette ed oneste che non avevano sottratto un solo centesimo alle offerte da loro raccolte.
SOCIETA’ OPERAIA DI MUTUO SOCCORSO
Mi sono poi chiesto come hanno fatto gli autori della lettera citata a sostenere che i fondi della liquidazione di questa Società “sparirono misteriosamente e finirono nelle tasche di chissà chi”, se non hanno fatto alcuna ricerca su tale Società, se non citano l’epoca di costituzione e il periodo in cui ha agito e se non forniscono i nomi del presidente e dei soci.
Tali notizie sono inaccettabili e un articolista corretto prima di riportare per iscritto le accuse generiche contenute in una lettera o le notizie captate dal “sentito dire” dovrebbe prima ricercarne l’esattezza e soprattutto la veridicità.
Negli archivi del Comune non si reperta alcun atto che faccia riferimento a tale Società dal 1908 in poi e comunque, qualora realmente esistita, non ha sicuramente percepito alcuna concessione economica da parte delle Amministrazioni Comunali dell’epoca.
E’ molto verosimile quindi che i fondi della liquidazione di tale Società, che non ci è dato sapere quando e con quale denaro siano stati costituiti, possono essere confluiti in epoca sicuramente anteriore al 1908 solo nelle casse della Congregazione di Carità, della quale si repertano negli archivi comunali i nomi dei Presidenti, eletti dal Consiglio Comunale (che si sono succeduti dal 1908 al 1925 – SALVATORE DI GREGORIO, DI GIALLONARDO GIOVANNI BATTISTA, MARCANTONIO GIUSEPPE, DE SANTIS DOMENICO- e dal 1926 al 1930 – DI CAMILLO FRANCESCO, D’ORAZIO PANFILO e COLALANCIA GIUSEPPE).
E’ possibile anche che quella Società in epoca imprecisata abbia cambiato addirittura il nome divenendo Congregazione di Carità.
Peraltro i bilanci annuali della Congregazione venivano vistati puntualmente dai revisori dei conti dell’Amministrazione Comunale e controllati poi dagli organi superiori (Prefetto o Sottoprefetto) e risulta che non siano stati mai osservati.
Questo è il frutto di una ricerca storica operata con onestà intellettuale. 8
Se non si repertano dati certi non si è autorizzati a sollevare dubbi e ad emettere sentenze di condanna.
AFFARE MODUGNO
Voglio ora mettere in chiaro i termini del “grande imbroglio dell’affaraccio Modugno”, citato dagli Americani predetti.
Vi premetto che è stata una grande truffa perpetrata ai danni di numerose persone di Sulmona, di Campo di Giove, di Cansano, di Pettorano sul Gizio e di Castel di Sangro, ma senza alcuna ripercussione economica passiva a carico dei predetti Comuni.
Tale Sig. Michele Modugno, di anni 39 da Napoli, che si era qualificato come ingegnere e commendatore, ma che in realtà si rivelò in seguito un semplice tecnico minerario, operò negli anni 1920 e 1921 una grande truffa, iniziando nel settembre 1920 col presentarsi con un biglietto firmato dall’On. Corradini al Sottoprefetto di Sulmona. Questi mise prontamente a disposizione del Modugno i Carabinieri, le Guardie Forestali e tutti i Sindaci del Comprensorio, nominando addirittura un agente investigativo che controllò per un mese le attività del Modugno.
Egli iniziò così la grande truffa in data 12/09/1920 ai danni dell’Avv. Mascetti Giuseppe, dell’Avv. Tabassi Domenico e del Rag. Masci Vincenzo di Sulmona coinvolgendoli, previo versamento di L. 52.629, nella ricerca di minerali nell’area della Maiella.
Poi continuò nel dicembre 1920 con una truffa ai danni del Dr. De Vincentis Berardino, di Colella Camillo, di Di Censo Luigi, di Mercuri Giuseppe, di Puglielli Francesco, di Sciuba Eustachio, di Di Camillo Matteo, di Vella Martino, di Del Mastro Salvatore, di Di Iorio Domenico, di Di Marzio Leonardo, di Antonelli Fiore, di De Chellis Pasquale, tutti di Campo di Giove, e di Di Giacomo Nunzio di Cansano associandoli, previo versamento di L. 98000, alla realizzazione di una cava di gesso e di un gessificio in Campo di Giove.
Ancora continuò nel dicembre 1920 con una truffa a danno di De Santis Domenico, di Di Camillo Emilia, di De Pulcinis Domenico, di Ruscitti Giovanni e di Di Giacomo Nunzio, tutti di Cansano, associandoli, previo versamento di L. 76.300, all’effettuazione di ricerche di bitume e di altri minerali in Cansano.
Ancora continuò nei primi mesi del 1921 con una truffa ai danni di Di Giacomo Nunzio e De Santis Domenico di Cansano e di Pace Francesco e di Di Francesco Nicola di Pettorano sul Gizio associandoli, previo versamento di L. 18.000, nella ricerca di lignite in territorio di Pettorano.
Ancora continuò nei primi mesi del 1921 con una truffa ai danni di Perpetua Giacinto di Castel di Sangro, di Di Francesco Nicola di Pettorano sul Gizio e di De Santis Domenico di Cansano associandoli, previo versamento di L. 43.000, alla costruzione di una fornace in Campo di Giove.
Ancora continuò nei primi mesi del 1921 con una truffa ai danni di Di Giallonardo Nicola di Cansano associandolo, previo versamento di L. 98000, alla ricerca di pietra da cemento in territorio di Palena.
Ancora continuò nei primi mesi del 1921 con una truffa ai danni di DI GREGORIO SALVATORE di Cansano associandolo, previo versamento di L. 18.000, ad una ricerca mineraria in contrada Pinciara di Campo di Giove.
Ancora truffò nella primavera del 1921 De Santis Giuseppe di Cansano per L. 10.000, Tisi Giuseppe di Roma per L. 130.000, Natale Rosa di Castel di Sangro per L. 1.900, Colella Camillo di Campo di Giove per L. 38.500, Di Marco Leonardo di Campo di Giove per L. 900, Mercuri Giovanni di Campo di Giove per L. 4000, il Rag. Vincenzo Masci di Sulmona per L. 94.000, l’Avv. Mascetti Giuseppe per L. 8000 e l’Avv. Giacchesio Raffaele per L. 17.000, oltre ad altre persone per importi inferiori, dell’ordine di centinaia di lire.
Il Modugno aveva infatti creato un’Associazione di partecipazione che in data 05/09/1921 trasformò nella IRMA -Società per la ricerca e sfruttamento di miniere in Abruzzo-, della quale era il direttore, avendo come segretario il Sig. Carcavallo Oscar di Roma. 9
Tale società, come si affermò durante il dibattimento della Causa Penale contro il Modugno, era stata formata senza un centesimo in cassa, ma solo con delle permissioni, basate su false perizie minerarie, alle quali il Modugno aveva dato i seguenti valori:
Contrada Vertoli di Cansano (estrazione di bitume) L. 584.377,
Contrada Pinciara di Campo di Giove (estrazione di minerali vari) L. 575.000,
Contrada Sant’Antonino di Campo di Giove (estrazione di gesso) L. 195.000,
Ricerca della bauscite (bauxite) L. 830.000.
Tali permissioni però, in base a perizie tecniche eseguite poi nel corso della Causa Penale predetta terminata con la sentenza del 01/03/1924, avevano in realtà il valore di Lire 0, perché il bitume e la bauxite non esistevano e gli altri minerali erano di qualità scadente.
Solo nel luglio 1921 l’Ing. Di Filippo Vincenzo, che il Modugno aveva cercato di coinvolgere nelle ricerche, si accorse che la IRMA non aveva alcuna consistenza economica e che le ricerche minerarie erano sicuramente infruttuose, per cui cominciò ad avvertire tutti i truffati.
Per quanto attiene al coinvolgimento dell’Amministrazione Comunale di Cansano nelle vicende in oggetto posso affermare che non si realizzò alcuna passività da parte della stessa.
Il Modugno infatti nel febbraio 1921 presentava una domanda all’Amministrazione Comunale di Cansano per l’acquisto di legname di faggio per opere.
In data 10/03/1921 l’Amministrazione concedeva la vendita, dietro stima della forestale; stima e vendita mai concretizzate.
In data 01/04/1921 l’Amministrazione accoglieva poi la domanda dell’ “ingegnere” che sollecitava il Comune a richiedere una teleferica per una miniera di bitume e per il trasporto del materiale dalla località Vertoli alla Stazione Ferroviaria di Cansano.
In data 13/05/1921l’Amministrazione richiedeva così al Ministero dei Lavori Pubblici la concessione della teleferica per la bisogna.
In data 04/06/1921, su domanda del MODUGNO, l’Amministrazione concedeva la vendita di pali per una linea telefonica, e sottolineava “che l’ingegnere pagherà secondo la stima che farà l’Ispettorato Forestale all’atto dell’assegno boschivo”; stima e vendita mai concretizzate.
In data 01/05/1921, su domanda del predetto ingegnere, l’Amministrazione deliberava di “concedere metri quadri 1500 di suolo comunale lungo la strada che mena alla stazione ferroviaria per la costruzione di casette operaie, dietro il corrispettivo annuo di lire 15 a casetta, e ripete all’anno e per ogni casetta che veniva costruita”; concessione mai concretizzata per le vicende che seguirono.
L’ingegnere chiedeva quindi alle Ferrovie la concessione di un’area di terreno incolto adiacente alla Stazione di Cansano per costruire uno stabilimento per la lavorazione dei materiali che si estraevano dalle miniere e per poter inviare agevolmente con i carri merci tali materiali.
In data 13/08/1921 l’Amministrazione Comunale di Cansano prendeva atto però che le Ferrovie avevano rifiutato di concedere al Modugno l’area richiesta e revocava pertanto la concessione dei metri quadri 1.500 del suolo pubblico alla Soc. IRMA e per essa al Modugno, revoca confermata di seguito in data 14/11/1921.
In data 16/12/1921 il Sottoprefetto Palmieri controllava ed approvava tutte le delibere precedenti dell’Amministrazione di Cansano.
Il grosso malaffare segnalato dai tre Americani ha riguardato quindi esclusivamente una grande truffa perpetrata ai danni di numerosi privati cittadini di vari Comuni, ovviamente senza alcuna responsabilità degli stessi e non ha in alcun modo leso gli interessi del Comune di Cansano o degli altri Comuni.
Con sentenza del 01/03/1924 il Tribunale di Sulmona condannava il Modugno ad anni 4 e giorni 25 di reclusione, a L. 2.000 di multa e a rifondere tutti i denari alle parti civili.
Le accuse degli Americani, che nel loro scritto facevano supporre un coinvolgimento attivo di SALVATORE DI GREGORIO e degli altri Amministratori Comunali in chissà quale malaffare nel “grande imbroglio dell’affaraccio Modugno”, si sono così rivelate ancora una volta infondate e basate solo su menzogne, in quanto insieme ai molti personaggi sopra citati Egli è stato solo un truffato e non un truffatore e delinquente.
Adesso vi è dato sapere cosa sia stato l’affare Modugno.
Perché, ora mi chiedo, l’autrice non è andata a cercare i dati storici dell’affare in questione prima di pubblicare il contenuto di quella lettera?
Molto verosimilmente perché ha voluto evidenziare del marcio anche dove non c’era e insinuare dubbi dove non ce n’erano, per poter gettare ancora fango “per così dire politico antifascista” sulla memoria di poveri morti, i quali da socialisti erano “divenuti fascisti”, cosa che purtroppo, non riuscendo ad emigrare, furono costretti a fare in molti a quell’epoca, ma non per questo erano disonesti e rei di malaffare.
L’onestà e la disonestà, come avviene anche ai nostri giorni, non sono caratteristiche precipue di una ideologia politica o di un partito, ma sono pregio o difetto esclusivo delle persone.
TERRENI DELLA CHIESA
Ora vi espongo quanto si reperta negli annali riguardo all’altro famoso trucco fatto dal nomato Kaiser sui terreni della Chiesa.
In data 27/10/1920, su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia dello stesso anno e decreto conseguente del governo, l’Amministrazione Comunale di Cansano con votazione unanime deliberava la vendita di alcuni terreni della Chiesa ad ex- combattenti. L’Amministrazione deliberante era composta da D’Orazio Panfilo (sindaco) e da Di Giallonardo Giovanni Battista, Di Camillo Francesco, D’Orazio Antonio, De Santis Giacomo, Colecchi Giacomo e Di Gregorio Salvatore (gli altri Consiglieri si astenevano perché cointeressati in proprio o a causa di parenti aventi diritto).
La motivazione della vendita delle terre della Chiesa fu dettata dalla necessità di concedere un premio agli ex-combattenti della prima guerra mondiale estensibile molto verosimilmente anche alle famiglie di coloro che erano morti combattendo.
In quella seduta veniva dapprima proposta l’indizione di un’asta pubblica in data 06/11/1920 dietro perizia del valore delle terre fatta redigere dall’arciprete Don Osvaldo Coletti. Durante la discussione però veniva accettata all’unanimità la proposta di SALVATORE DI GREGORIO di “fare voti al Ministro di Grazia e Giustizia affinché si soprassedesse all’asta a pubblico incanto ed i terreni venissero ceduti ai combattenti residenti e fra loro divisi al prezzo della perizia sopra indicata e di richiedere inoltre una proroga di almeno due anni per la vendita, affinché i combattenti emigrati in gran numero in America, dopo aver raccolto il denaro necessario, potessero anch’essi concorrere alla vendita e poter stare di fronte a quelli che dalla guerra avevano avuto profitto” (Cfr. verbale del Consiglio Comunale del 27/10/20).
Questo è il dato storico.
Vi pare che questa proposta nascondesse un trucco?
Vi pare che fosse la proposta di un “pescecane” o di un “delinquente”?
No signori. Era la proposta di una persona intelligente e di un accorto osservatore dei bisogni della popolazione, che cercava di evitare l’asta pubblica, la quale avrebbe sicuramente determinato la partecipazione anche di reduci di altri paesi ed avrebbe portato comunque a un inevitabile aumento del prezzo di vendita a solo beneficio della Chiesa.
Purtroppo la richiesta dell’Amministrazione di eludere l’asta pubblica non fu accettata dal Ministro di Grazia e Giustizia e l’asta si tenne ugualmente verso la fine dell’anno 1921 presso il Subeconomato dei Benefici Vari di Sulmona.
Le terre quindi non furono pagate al prezzo di perizia ed i prezzi lievitarono, come era stato previsto, ovviamente a danno degli agricoltori e a beneficio esclusivo della Chiesa.
Essendosi peraltro sciolta l’Associazione dei Combattenti, ognuno degli aventi diritto dovette partecipare per proprio conto all’asta. All’asta partecipò così SALVATORE DI GREGORIO, in quanto incaricato come al solito a rispondere a nome di numerosi cittadini di Cansano, che non erano in grado di presentarsi e che non sapevano neppure cosa fosse e cosa avvenisse in un’asta pubblica.
Alcuni di essi però, ometto per correttezza di riportarne i nomi pur conoscendoli, all’esito dell’asta denunciarono SALVATORE DI GREGORIO per appropriazione indebita.
Egli era riuscito infatti, con le anticipazioni consegnategli da costoro di complessive L. 10.800, ad aggiudicarsi ben 13 lotti di terreno. Ma i committenti, che peraltro non gli avevano dato alcun mandato scritto né avevano operato a monte alcuna scelta dei lotti, essendo ovviamente lievitato il prezzo di base dell’asta oltre le somme preventivate e dovendo sborsare ulteriori somme rispetto a quanto avevano previsto, rifiutarono di riconoscere e corrispondere a SALVATORE DI GREGORIO il compenso per le prestazioni effettuate e da lui inizialmente trattenuto su quelle somme consegnategli, ma soprattutto non accettarono di acquisire il 13° lotto (lotto n.° 31) in quanto per loro non valeva nulla. In data 03/01/1922 essi denunciarono appunto SALVATORE DI GREGORIO per appropriazione indebita qualificata di parte delle somme a lui consegnate. All’esito della causa del 09/05/1924 egli fu condannato dal Pretore per non avere titolo all’acquisto del lotto n. 31, che purtroppo era rimasto a lui aggiudicato -in quanto rifiutato dai committenti-, ma che, non avendo egli neppure pagato interamente, restò alla fine di proprietà della Chiesa. Dopo opposizione alla sentenza la pena fu condonata dal Tribunale, “vista la buona fede”, giusti decreti R.D. 24/10/1921 n. 1419, R.D. 22/12/1923 n. 1641 e R.D. 09/04/1923 n. 719, e non menzionata. Comunque alla conclusione della causa i predetti mandatari riuscirono nel loro scopo, quello di non pagare il compenso dovuto a SALVATORE DI GREGORIO.
A quell’asta Egli partecipò a nome e per conto di altri committenti di Cansano, identificati e testimoni anche nel processo sopra citato, che però capirono che in un’asta non si può scegliere ed ottenere con certezza ciò che si vuole e soprattutto che il prezzo di base d’asta è ovviamente destinato a lievitare, per cui accettarono di buon grado l’esito dell’asta e riconobbero al mandatario il giusto compenso per le prestazioni effettuate.
Forse questo era stato “l’altro trucco operato dal Kaiser”?
Non era stato certamente un trucco.
La verità è che, come al solito, ci aveva rimesso economicamente e moralmente.
A proposito sapete perché lo soprannominarono Kaiser?
Ve lo dico io: perché stava in un’altra dimensione rispetto agli altri che stavano per terra, perché aveva un ingegno e delle doti intellettuali superiori agli altri uomini di quel tempo, perché era capace di districarsi in tutte le situazioni e perché riusciva dove gli altri non pensavano neppure di poter tentare.
Non sono riuscito a sapere da chi era stato coniato quell’appellativo, ma da tutti i documenti reperiti è emerso che a quell’epoca non se ne poteva trovare uno più indicato per una persona di tale levatura mentale.
E’stata però soprattutto la sua intelligenza, unita alla sua prestanza fisica, che, come ho già detto, gli attirò l’invidia, l’astio e l’odio sia degli uomini che delle donne.
Valga come esempio di invidia e di odio l’ulteriore accusa grave, tra le tante formulate a suo carico sempre con lettere anonime, di aver usurpato dei terreni comunali. Fortunatamente già nel 1922 Egli da Consigliere aveva convinto l’Amministrazione Comunale della necessità di nominare un perito che potesse verificare e valutare tutte le occupazioni indebite e le usurpazioni attuate da vari cittadini. Venne così incaricato il geometra Nicola Di Nello di Pacentro. Risultò dalla perizia che il geometra depositò in data 20/09/1925, della quale ho trovato e posseggo copia, che gli usurpatori erano stati MOLTI ALTRI (dei quali per decenza ometto i nomi), MA NON SALVATORE DI GREGORIO, e il Comune procedette contro costoro nei termini di legge. Alcuni così rinunciarono all’occupazione abusiva, altri pagarono per l’usurpazione secondo la stima del geometra predetto ed altri dopo un processo svoltosi nel Tribunale di Sulmona.
Questa accusa è emblematica poi perché dimostra che tutto ciò che di negativo avveniva in Cansano a quell’epoca veniva attribuito dai suoi detrattori e nemici pseudo-politici sempre a SALVATORE DI GREGORIO.
Proprio l’invidia e l’odio di molti, a mio giudizio, hanno determinato anche il suo tracollo finanziario con il furto perpetrato ai suoi danni, consistito nella sottrazione dolosa e con scasso all’Esattoria e Tesoreria Intercomunale da lui retta di una somma incredibilmente rilevante per l’epoca, pari a oltre 40.000 lire. Tale furto, del quale non si scoprirono mai gli autori perché l’unica testimone oculare rifiutò di farne i nomi in sede di indagine delle Forze dell’Ordine per paura di ritorsioni, determinò la necessità da parte di mio nonno di rifondere al Comune il denaro e, per farlo, di alienare parte delle sue proprietà e di contrarre dei debiti molto rilevanti per quell’epoca con parenti ed amici; cito i nomi di coloro che aiutarono mio nonno prestandogli le somme più ingenti, Di Domenico Nicola fu Angelo (suo genero, marito di Di Gregorio Lucia Rocca), Pellegrini Domenicantonio (detto Menacchione), Tarulli Donato, Di Gregorio Maria Nicola (detta Cola di Quintiliano) e Ciro Maria (della famiglia dei “Cellarella”).
Ai debiti contratti ha dovuto far fronte tutta la famiglia di SALVATORE DI GREGORIO fino alla loro completa estinzione avvenuta nel 1948.
Ora vi sembra che questa persona sia stata un delinquente e un ladro? o non è stata invece un perseguitato e un derubato?
E si può definire delinquente e ladro SALVATORE DI GREGORIO, cito un altro fatto documentato, quando in data 06/03/1918 l’Amministrazione Comunale, che gli aveva dato l’incarico di redigere la delimitazione dei confini del Comune e le delimitazioni catastali dei terreni per la formazione del nuovo catasto, a fronte di una richiesta di pagamento di Lire 1010, per venti giornate di due persone e due cavalcature e per la mediazione con i rappresentanti dei comuni di Sulmona, di Pettorano sul Gizio, di Pescocostanzo, di Campo di Giove e del Fondo e soprattutto con i cittadini di Cansano interessati alle delimitazioni -mediazione che ovviamente egli solo era in grado di condurre- delibera e gli liquida lire 600, che egli di buon grado accetta? Vi chiarisco che l’Amministrazione fissava i seguenti valori delle prestazioni d’opera per il Comune: giornata di un uomo L. 12, giornata di un cavallo L. 8 e giornata di un asino L.5. Lascio a voi fare il conto preciso di quanto avrebbe dovuto ricevere.
Un ingegno notevolmente elevato per quell’epoca e per quel contesto socio-culturale doveva averlo per forza dal momento che riusciva persino a disegnare le generatrici e gli archi di direttrice delle “volte a botte” e a far costruire le “volte a crociera” (operazione molto difficile a motivo del fatto che le stanze erano di forme diverse), cosa che spesso non riusciva neppure ai geometri operanti all’epoca a Cansano e dintorni (tale notizia è stata ripresa dai racconti fatti negli anni cinquanta dal Sig Nicola Colaianni, detto zì Necòle de Bàrbere, al Sig. Di Paolo Salvatore fu Francesco, all’epoca dodicenne).
Ma il vero spessore politico, sociale ed economico di SALVATORE DI GREGORIO, ritenuto anche fuori di Cansano personaggio importante e famoso della vita Cansanese del primo novecento, si manifestò anche dopo la sua morte.
Infatti i membri dell’Amministrazione Comunale non furono più in grado (o non vollero più farlo per motivi non documentabili) di seguire le cause pendenti e in particolare la causa contro il Comune di Pescocostanzo per la proprietà dei boschi “di Colle Scorcioso e delle Pentinelle” e dei pascoli della cimata “delle Voccaglie”, per la quale proprietà il Kaiser si era prodigato e battuto con tutte le sue forze.
Egli era riuscito addirittura a riportare da solo i pilastri dei termini di confine nelle posizioni che risultavano dai documenti risalenti al 1471 -contenuti nella sentenza del Re Ferdinando D’Aragona- ed al 1629, reperiti nell’Archivio di Stato di Napoli con l’aiuto dell’avvocato Luigi Palombo di Napoli. Tra l’altro nel marzo 1929 aveva perfino ritrovato un “documento che porta la data del 1108 iscritto in un istrumento rogato in San Vittore il giorno 30/06/1468 per notar Nicola Del Giudice”, che definiva i confini delle terre divenute molti anni dopo Comune di Pescocostanzo, negli archivi dell’Abbazia di Montecassino ove si era introdotto travestito addirittura da frate -ricordi di molte persone di Cansano-.
Con il supporto di queste prove il Comune di Cansano, sospinto dal Kaiser, aveva proseguito la vertenza con Pescocostanzo.
Ma dopo la sua morte l’Amministrazione Comunale di Cansano, diciamo per incuria, non procedette entro i sei mesi canonici alla registrazione della sentenza della Causa d’Appello che aveva dichiarato il Comune di Cansano VINCITORE -ricordi precisi del Sig. maestro De Santis Cav. Domenico- ed il Comune perse così la proprietà dei boschi e dei pascoli predetti.
I vecchi ricordano che l’Amministrazione Comunale di Pescocostanzo alla morte del Kaiser, prevedendo una conclusione vittoriosa della causa predetta, organizzò una festa popolare offrendo ai paesani un vitello da mangiare in piazza -affermazione del fu Emidio Colabrese, che da giovane aveva partecipato al banchetto-.
L’esito negativo della causa però scatenò nel novembre 1933 l’ira della popolazione tutta che si ribellò all’Amministrazione Comunale, ritenuta imbelle e collusa con Pescocostanzo, attuando la Rivoluzione di Cansano del “33”, fatto così eclatante per quell’epoca che il giornale francese “Le Petit Parisienne” pubblicò addirittura un articolo dal titolo “Il popolo di Cansano caccia l’Amministrazione Comunale Fascista” -ricordi del Sig. maestro De Santis Cav. Domenico-.
Questa è tutta la storia e tutta la VERITA’.
CONCLUSIONE
A questo punto ho capito che, se tutte le accuse formulate dagli Americani firmatari della lettera incriminata si sono dimostrate false e basate su menzogne spudorate, il motivo delle divergenze sulla costruzione del monumento ai caduti del nostro paese tra i Cansanesi emigrati in America ed i Cansanesi rimasti in paese doveva per forza di cose basarsi esclusivamente su uno scontro tra poteri economici e di conseguenza tra prestigi ovviamente diversi, esacerbato come al solito da odio incrociato e solo in apparenza velato da posizioni avverse pseudo-politiche.
I Cansanesi d’America volevano solo “salvaguardare il loro denaro” e ribadivano che “la moneta nel modo che deve essere spesa, devono maneggiarla i Cansanesi che in America la sborsano”, non fidandosi neppure dei loro famigliari più stretti, in quanto ritenevano che il denaro doveva dare a loro e solo a loro un “meritato” prestigio; quindi esclusivamente per un motivo avevano imbastito tutte le accuse contro i presunti “maneggieri” di Cansano, cioè per escluderli da ogni scelta e da ogni decisione sulla costruzione del monumento ai caduti.
Avvalora tale idea l’art. 8 del regolamento del Comitato Cansanese di Berwind: “Il nome di ogni oblatore delle somme … verrà inciso, in segno di ricordo perenne, alla parte opposta del monumento o al piedistallo”. È evidente che quello che a loro interessava era solo ottenere da quell’opera un onore e un vanto perenni per ognuno di loro.
Per fortuna tale incisione, di dubbio gusto, non venne poi apposta al basamento.
Seguì così tutta una inutile diatriba tra gli Americani ed i Cansanesi sui bozzetti con le figure da immortalare sul bronzo. Dopo i noti litigi il Comitato di Cansano alla fine scelse il bozzetto e commissionò il monumento allo stesso autore che aveva già disegnato e fatto costruire il monumento di Sulmona, l’architetto Giovanni Granata, che operava in Roma ma era nato a Sulmona nel 1875.
Il parere del Comitato di Cansano, del quale faceva parte mio nonno, prevalse sulle direttive degli Americani, i quali, dopo la costituzione del Comitato dei Cansanesi di Berwind (Col.) in data 17/06/1923, avevano proposto l’affidamento dell’incarico a uno degli artisti che operavano in Abruzzo. Bisogna riconoscere infatti che gli artisti presenti all’epoca nella nostra regione difficilmente sarebbero stati capaci ed in grado di costruire un’opera così bella ed imponente.
Ovviamente il prezzo richiesto dall’autore era rilevante per quell’epoca, lire 64.000, e il denaro raccolto era di sole 56.000 lire, per cui si rischiò che il nostro monumento finisse ai Pescaresi, i quali erano interessati all’acquisto ed avevano iniziato la trattativa con l’autore. L’artista però, pressato dai Cansanesi e molto verosimilmente dai dirigenti della sezione fascista che agirono politicamente a Sulmona e a Roma, “acconsentì di modificare il progetto primitivo riducendo il peso del gruppo bronzeo da 12 ad 8 quintali ed in tale misura fu fuso a Roma” nella fonderia di via dei Greci di proprietà dello stesso autore (Cfr. “Storia del monumento ai Caduti di Cansano” del Prof. Franco Cercone).
Il monumento ai caduti di Cansano fu quindi costruito ed acquistato al prezzo di lire 56.000, raccolte sia dai Cansanesi d’America (lire 30.000, come riportato nelle lettere di FELICE DI CAMILLO, citate dall’autrice degli articoli) sia, ovviamente, anche se in minor misura, dai Cansanesi residenti in paese.
Questi ultimi, pur tra mille difficoltà e pur nella loro indigenza -più o meno marcata-, contribuirono tutti con quanto potevano e non risulta che qualche “pescecane” o qualche “fascista” si sia arricchito sottraendo del denaro alla raccolta di fondi.
Purtroppo chi amministra il denaro altrui viene quasi sempre sospettato e additato come disonesto, anche se è la persona più retta del mondo.
Il risultato comunque è che il nostro monumento viene ritenuto tra i più belli d’Italia e viene apprezzato da tutti i visitatori del nostro paese.
I nomi di tutti gli Amministratori Comunali dell’epoca sono ancora reperibili negli annali del Consiglio Comunale di Cansano, ma io ne cito solo alcuni tra i più presenti alle adunanze negli anni 1908-1924 (epoca alla quale si riferiscono i fatti contenuti nella lettera degli “Americani”) perché essi, definiti “maneggieri” dagli Americani firmatari della lettera in questione, hanno il diritto di essere scagionati e assolti dalle accuse infamanti e menzognere mosse alla loro memoria, e sono: Di Giallonardo Giovanni Battista, Di Giallonardo Giacomantonio, Di Camillo Francesco, DI GREGORIO SALVATORE, De Angelis Antonio, D’Orazio Antonio, De Pulcinis Ferdinando, De Santis Giuseppe, De Angelis Enrico, Colecchia Giacomo, Villani Emidio, De Santis Crescenzo, Marcantonio Giuseppe, Colantonio Pietro, D’Orazio Panfilo, Di Giacomo Pietro, Di Giacomo Nunzio, Ruscitti Gregorio, Colecchia Lorenzo; i Commissari Prefettizi : De Vincentis Berardino e De Santis Domenico; il Podestà Trasmondi marchese Francesco.
Io ritengo ingiusto mettere alla berlina gente scomparsa molti anni fa e con la mia ricerca accurata ho inteso difendere tutti i nostri morti da quelle accuse infamanti.
Posso a ragione ribadire con nomi, date e fatti che le accuse contenute nella lettera di FELICE DI CAMILLO e degli altri due firmatari, citate dall’autrice degli articoli predetti, sono scientemente mendaci e verosimilmente basate su notizie false e tendenziose ricevute da quei paesani che godevano nell’insinuare dubbi sia sulla correttezza dell’operato dei Sindaci, degli Amministratori Comunali, della Cooperativa di Lavoro e della Commissione per il restauro della Chiesa di San Nicola, sia sull’effettiva partecipazione di mio nonno SALVATORE DI GREGORIO a quei fatti.
Ma il fango gettato sulla memoria di mio nonno e degli altri Cansanesi non è stato eterno perché è stato lavato completamente dalla pioggia generata dalla mia ricerca e dai dati citati.
Ricordo poi a chi lo ha dimenticato che la Chiesa Cattolica ed il vivere civile perdonano al morto tutti gli eventuali falli da lui commessi in vita ed anche la Legge sospende qualsiasi grado di giudizio dopo la morte dell’indiziato di un reato. Perfino gli antichi romani nutrivano verso i morti la “PIETAS”.
Perché l’autrice degli articoli non ha avuto lo stesso sentimento? Perché ha voluto dopo tanti anni additare al pubblico ludibrio SALVATORE DI GREGORIO e tutti gli Amministratori Comunali di quell’epoca? Perché si è posta addirittura sopra la legge degli uomini, condannando lui come “indegno” e come “delinquente” e gli altri come “maneggieri locali”, dal momento che non lo erano e che non potevano più difendersi?
Conoscendo Maria Donata Di Gregorio come persona colta ed intelligente, non riesco a spiegarmi questi perché.
Certamente una persona cauta ed accorta prima di pubblicare gli articoli avrebbe riflettuto sul contenuto di quella lettera, avrebbe previsto che quei giudizi sommari avrebbero ferito i discendenti di SALVATORE DI GREGORIO e degli Amministratori Comunali dell’epoca per cui avrebbe cercato almeno qualche riscontro documentale probante quelle accuse.
Ma l’autrice, forse mossa da pulsioni pseudo-politiche, non ha ritenuto necessario indagare sulla veridicità o sulla falsità delle accuse.
Ha infangato così la memoria del capostipite di una famiglia, attualmente composta di ben 64 membri, e non si è curata di dotarsi di una pur minima prova certa delle affermazioni degli Americani; per questo motivo dal punto di vista storico ha dimostrato di essere poco accorta e carente di onestà intellettuale e dal punto di vista umano è meritevole di censura.
Non è corretto infatti giudicare i personaggi vissuti nel contesto socio-economico e culturale di quell’epoca, primi anni trenta del secolo scorso, secondo il metro di giudizio della nostra epoca. Voglio ricordare a chi non lo rammenta che in quei pochi anni sono stati scoperti in Cansano (ovviamente non tutti quelli commessi) due omicidi, tre infanticidi, sei tentati omicidi, numerose minacce a mano armata, numerosi fatti con lesioni personali di varia entità, numerosi furti di vario genere e addirittura alcune false testimonianze -con arresto nell’aula dei testimoni-. E’ chiaro quindi che i nostri avi non agivano e non si comportavano come ci comportiamo noi ora, a motivo appunto del loro modestissimo livello culturale e della loro etica dai tratti ancora arcaici (era ancora in pectore la “legge del taglione” -occhio per occhio, dente per dente- o come diceva qualcuno il “codice di Introdacqua” -passare subito alle vie di fatto- ed era ancora in auge il detto “meglio cento processi che il mio funerale”), per cui non devono essere giudicati con il metro che noi usiamo oggi ed essere condannati senza appello, ma quelli che a noi appaiono dei loro errori, anche se gravi, vanno invece umanamente compresi.
Purtroppo accade sovente in tutti i campi, e quindi anche nel mondo dei politici e in quello dei pubblicisti (cronisti o storici), che il pregiudizio o la superficialità o la fretta di decidere portino ad accogliere come vere ed esaurienti affermazioni unilaterali infondate, spesso originate da rancori personali più o meno aviti come nel caso della lettera citata, senza che si operi un controllo approfondito, specifico e soprattutto imparziale, che porti alla verità, la quale non può essere certo quella che scaturisce da giudizi sommari e sbrigativi o da etichettature ideologiche e conformistiche. Come esempio di dogmatismo con deformazioni percettive ed emotive di tipo ideologico vi ricordo che nel secondo dopo-guerra vi fu un’avversione totale per il fascismo e per tutta la sua eredità con un’iniziale volontà, poi per fortuna senza seguito, di distruggere addirittura l’ENI e l’EUR, perché appunto realizzati nell’epoca fascista. Rientra in tale esempio il costrutto degli articoli dell’autrice predetta, che ha avuto il solo scopo di mettere alla berlina tutti gli Amministratori Comunali del nostro paese che operarono anche nell’epoca fascista, basando i giudizi solo su insinuazioni e menzogne indubbiamente create ad arte come innanzi ho spiegato.
I protagonisti di quegli eventi lontani sono però da tempo in una dimensione ultraterrena e sono ormai consapevoli delle piena verità e degli errori purtroppo commessi da ciascuno.
Perciò certamente essi vedono con tristezza che alcuni loro discendenti ripercorrono la strada senza sbocco del rancore, della menzogna e della denigrazione vendicativa, invece di scegliere quella più ampia e razionale dell’umana comprensione, l’unica che può aiutarci a capire le radici personali, culturali e storiche di quegli eventi da essi vissuti e le ragioni profonde e complesse dei loro sentimenti e dei loro contrasti di un secolo fa,
e l’unica che può assisterci nel nostro cammino verso la Verità e verso un Bene Superiore. Voglio concludere questo mio lavoro ricordando un monito che ci viene dal versetto della BIBBIA, Genesi 29 -15.30, a proposito delle famose menzogne di Giacobbe (quando per un piatto di lenticchie estorse la primogenitura ad Esaù e quando si sostituì ad Esaù e si fece benedire come erede da Isacco, fatti che poi gli causarono l’esilio e gli costarono venti anni di servizio presso Labano): “Le nostre MENZOGNE, lo sparlare contro gli altri e la manipolazione del prossimo si rivolgeranno sempre a nostro danno”. E questo monito, che è valso per il passato, vale per il presente e varrà sempre per il futuro.
Cansano 23/11/2015 Dr. D’Orazio Nunzio Marco